E’ stato così che a fine giugno ho conosciuto mio nonno. Un ragazzino di circa 15 anni che potrebbe essere mio nipote.
Ugo mi mostra una vecchia fotografia:
“Me l’ha data una signora che dice di essere nostra parente.”
Ma certo, dalla descrizione è Lucia, la figlia di Carlì Pesot e della Fiorenza. Il primo pensiero è che la nostra parentela è tutto, ma non un clan. Anche se nella tragica vicenda di mia cognata Catina,la moglie di mio cugino, la Ezia, è stata presente giorno e notte. Non so nemmeno se le ho detto “grazie”. Non trovavo, non avevo, le parole per farlo. Torniamo alla fotografia, dove nulla è più falso dell’immagine che si vuole rappresentare. Vediamo una famiglia unita e felice nei primi anni del 900. Una coppia, in quel tempo, “faceva” cinque figli. Oggi cinque coppie “fanno “ a malapena un figlio!
La foto è bellissima, costruita in studio, o forse no, poiché sotto i piedi hanno un marciapiede con l’erba. Non siamo ad Iseo.
E’ possibile che un bel mattino, in treno, la famiglia si sia recata a Brescia, tutta vestita a festa. Mia bisnonna, al secolo di due secoli fa, Consoli Catina, nata nel 50, è una splendida cinquantenne attorniata da figli e marito.
Altolà! Il marito non è mio bisnonno Carlo Pezzotti, ma certo Verdejo sposato in seconde nozze che non legittimò i figli adottivi.
Mi sarei chiamato Flaminio Pezzotti Verdejo. Mij cojoni,direbbero a Chenbricc. Avrei dovuto accettare in regalo la seconda cravatta: due nomi,due cravatte. Intanto:chi era sto bisnonno acquisito? Un maresciallo della finanza (del Piemonte? della bassaitalia?) che faceva comodo alla Catina e alla figlia Caterina detta Ninì che gestiva un locale con tabaccheria all’angolo di Via Campo. Fors’anche più giovane della moglie, aveva finito con i pranzi in trattoria e le camicie dalla stiratrice. “--- e de terù che l’era, el ga troat de fa”.
Oggi la convivenza, ieri la convenienza, oppure è sempre stato così?
Spicca al centro della foto la mitica zia Ninì, che fece diventar grandi mio padre e mio “sio Pepino’l tabachì” rimasti orfani da bambini. Non si era mai sposata. La pensavo ‘na pota-ecia, succube da giovane di madre e fratelli. Vedendola così fiera, nell’integrità splendente dei suoi vent’anni, non penso le siano mancati gli ammiratori.
Ma era, in quel tempo, fra le poche donne indipendenti, libera di scegliere o rifiutare coloro che volevano partecipare a quei riti laici dove “el cul de l’ostera l’è come l’acquasantera”.
Le donne, nella mia famiglia, non sono mai state “casalinghe”.
Madre e nonna materna commercianti, la nonna paterna levatrice, bisnonna e prozia osti-tabaccaie. Gli angeli del focolare facevano accendere il camino a noi maschietti, se volevamo il pranzo caldo. Tanto è vero, che il povero Negri, padre di Armando, diceva che nonno Giovanni “l’era l’om de la comar da Sulsa”. Nella foto, prima di zia Ninì, el sio Piero canela”, il primogenito maschio, che sposò una Negri, la cui figlia sposò Alberti “manecdescua” che stava ‘n del Dom, dove c’è ancora quel bel portale in botticino col portone verde. Mio nonno invece è quel ragazzo più alto a destra di nonna Catina.
Sfigato come tanti maschi della mia famiglia. Rimasto orfano da ragazzo, lascerà orfani i suoi figli nel ’18, falciato dalla spagnola con nonna Flaminia.
Se ci penso, sono stato finora, molto fortunato come maschio Pezzotti.
Se non fosse per la pancreatite, il pleismecher, il diabete, il tunnel carpale sarei ancora sano come un pesce.
Sotto nonno Giovanni, lo zio Emilio, di cui ignoravo l’esistenza. Infine il più piccolo, Bortolo Isideo, classe 1890, papà di Carlì, Tullio e della Lina, che stavano in piazza Statuto, ed è il nonno della Lucia che mi ha dato la foto.
Il nome Isideo è in onore alla teoria di Gabriele Rosa, il quale voleva che l’etimo Iseo derivasse dal culto alla dea Iside. Detto anche Bortol polver, poiché triturava la corteccia dei castagni per ricavarne tannino per la conceria. Osservo con attenzione mio nonno-bambino . Ma io quella faccia da incazzato e con gli occhi curiosi l’ho già vista da qualche parte! Me la son rugata una settimana poi ho scoperto la foto di un bambino di prima elementare, con il grembiulino, i sandali, il fiocco e con lo stesso testone. Sì, non avevo però gli occhi tristi di nonno Giovanni.
Lui avrebbe vissuto la “grande guerra”, io uscivo dalla seconda senza traumi, con papà mamma e nonni. Mi avrebbero salvato la penicillina prima, la chirurgia poi ed infine la tecnologia. Come tutti gli animali, sentiamo inconsciamente il nostro destino, sentiamo se la chiamata verrà a breve e quando ti chiamano, ti chiamano. Nello sguardo sfrontato del bambino, il primo giorno di scuola, c’è una sfida alla vita. Mi piego ma non mi spezzerete, alla faccia degli ipocriti, degli approfittatori, dei piagnoni, dei bastarrrdi! E già, io sono ancora qua, conscio del fatto che muoiono i cattivi, muoiono i buoni, non muoiono mai gli spaccamaroni.
Ugo mi mostra una vecchia fotografia:
“Me l’ha data una signora che dice di essere nostra parente.”
Ma certo, dalla descrizione è Lucia, la figlia di Carlì Pesot e della Fiorenza. Il primo pensiero è che la nostra parentela è tutto, ma non un clan. Anche se nella tragica vicenda di mia cognata Catina,la moglie di mio cugino, la Ezia, è stata presente giorno e notte. Non so nemmeno se le ho detto “grazie”. Non trovavo, non avevo, le parole per farlo. Torniamo alla fotografia, dove nulla è più falso dell’immagine che si vuole rappresentare. Vediamo una famiglia unita e felice nei primi anni del 900. Una coppia, in quel tempo, “faceva” cinque figli. Oggi cinque coppie “fanno “ a malapena un figlio!
La foto è bellissima, costruita in studio, o forse no, poiché sotto i piedi hanno un marciapiede con l’erba. Non siamo ad Iseo.
E’ possibile che un bel mattino, in treno, la famiglia si sia recata a Brescia, tutta vestita a festa. Mia bisnonna, al secolo di due secoli fa, Consoli Catina, nata nel 50, è una splendida cinquantenne attorniata da figli e marito.
Altolà! Il marito non è mio bisnonno Carlo Pezzotti, ma certo Verdejo sposato in seconde nozze che non legittimò i figli adottivi.
Mi sarei chiamato Flaminio Pezzotti Verdejo. Mij cojoni,direbbero a Chenbricc. Avrei dovuto accettare in regalo la seconda cravatta: due nomi,due cravatte. Intanto:chi era sto bisnonno acquisito? Un maresciallo della finanza (del Piemonte? della bassaitalia?) che faceva comodo alla Catina e alla figlia Caterina detta Ninì che gestiva un locale con tabaccheria all’angolo di Via Campo. Fors’anche più giovane della moglie, aveva finito con i pranzi in trattoria e le camicie dalla stiratrice. “--- e de terù che l’era, el ga troat de fa”.
Oggi la convivenza, ieri la convenienza, oppure è sempre stato così?
Spicca al centro della foto la mitica zia Ninì, che fece diventar grandi mio padre e mio “sio Pepino’l tabachì” rimasti orfani da bambini. Non si era mai sposata. La pensavo ‘na pota-ecia, succube da giovane di madre e fratelli. Vedendola così fiera, nell’integrità splendente dei suoi vent’anni, non penso le siano mancati gli ammiratori.
Ma era, in quel tempo, fra le poche donne indipendenti, libera di scegliere o rifiutare coloro che volevano partecipare a quei riti laici dove “el cul de l’ostera l’è come l’acquasantera”.
Le donne, nella mia famiglia, non sono mai state “casalinghe”.
Madre e nonna materna commercianti, la nonna paterna levatrice, bisnonna e prozia osti-tabaccaie. Gli angeli del focolare facevano accendere il camino a noi maschietti, se volevamo il pranzo caldo. Tanto è vero, che il povero Negri, padre di Armando, diceva che nonno Giovanni “l’era l’om de la comar da Sulsa”. Nella foto, prima di zia Ninì, el sio Piero canela”, il primogenito maschio, che sposò una Negri, la cui figlia sposò Alberti “manecdescua” che stava ‘n del Dom, dove c’è ancora quel bel portale in botticino col portone verde. Mio nonno invece è quel ragazzo più alto a destra di nonna Catina.
Sfigato come tanti maschi della mia famiglia. Rimasto orfano da ragazzo, lascerà orfani i suoi figli nel ’18, falciato dalla spagnola con nonna Flaminia.
Se ci penso, sono stato finora, molto fortunato come maschio Pezzotti.
Se non fosse per la pancreatite, il pleismecher, il diabete, il tunnel carpale sarei ancora sano come un pesce.
Sotto nonno Giovanni, lo zio Emilio, di cui ignoravo l’esistenza. Infine il più piccolo, Bortolo Isideo, classe 1890, papà di Carlì, Tullio e della Lina, che stavano in piazza Statuto, ed è il nonno della Lucia che mi ha dato la foto.
Il nome Isideo è in onore alla teoria di Gabriele Rosa, il quale voleva che l’etimo Iseo derivasse dal culto alla dea Iside. Detto anche Bortol polver, poiché triturava la corteccia dei castagni per ricavarne tannino per la conceria. Osservo con attenzione mio nonno-bambino . Ma io quella faccia da incazzato e con gli occhi curiosi l’ho già vista da qualche parte! Me la son rugata una settimana poi ho scoperto la foto di un bambino di prima elementare, con il grembiulino, i sandali, il fiocco e con lo stesso testone. Sì, non avevo però gli occhi tristi di nonno Giovanni.
Lui avrebbe vissuto la “grande guerra”, io uscivo dalla seconda senza traumi, con papà mamma e nonni. Mi avrebbero salvato la penicillina prima, la chirurgia poi ed infine la tecnologia. Come tutti gli animali, sentiamo inconsciamente il nostro destino, sentiamo se la chiamata verrà a breve e quando ti chiamano, ti chiamano. Nello sguardo sfrontato del bambino, il primo giorno di scuola, c’è una sfida alla vita. Mi piego ma non mi spezzerete, alla faccia degli ipocriti, degli approfittatori, dei piagnoni, dei bastarrrdi! E già, io sono ancora qua, conscio del fatto che muoiono i cattivi, muoiono i buoni, non muoiono mai gli spaccamaroni.